
Career Story15/9/2025
Career Story - Gregorio Palamà, Enterprise Architect
Sei in azienda da meno di un anno, ma in realtà si tratta di un “ritorno”. Ci racconti il tuo percorso e, soprattutto, cosa ti ha spinto a tornare?
Sono rientrato a novembre 2024 e, ormai da quasi un anno, ricopro il ruolo di Enterprise Architect. La mia prima esperienza in azienda risale invece al periodo tra il 2008 e il 2012. Il mio percorso è iniziato come creatore di contenuti formativi: mi piaceva sperimentare con gli strumenti digitali e, nel tentativo di supportare i colleghi che si occupavano di sviluppo, ho iniziato ad avvicinarmi sempre di più al mondo del web development. Da lì è stato naturale passare alla gestione di progetti per clienti di rilievo. Anche dopo aver lasciato l’azienda nel 2012, ho continuato a mantenere vivi i rapporti con molti ex colleghi.
Il mio rientro è stato motivato dal desiderio di intraprendere un progetto a lungo termine. Ho chiesto un confronto aperto e ho espresso chiaramente la mia volontà di trovare un’azienda in cui poter costruire i prossimi dieci anni della mia carriera. La risposta positiva e l’entusiasmo dei colleghi hanno reso il ritorno una scelta naturale.
In parole semplici, cosa significa per te essere un Enterprise Architect?
Innanzitutto, significa comprendere a fondo le esigenze del cliente, andando oltre la semplice richiesta iniziale. Il vero obiettivo è capire quale sia la reale necessità del suo business. Il mio ruolo consiste nel tradurre queste esigenze, sia di natura strategica sia tecnica, in un’architettura solida e coerente, su cui l’intero team possa lavorare. Essere Enterprise Architect significa quindi non guardare solo al singolo blocco di codice, ma all’insieme dei componenti che devono integrarsi e funzionare in modo armonico.
È un ruolo che richiede competenze tecniche molto elevate. Cosa ti stimola maggiormente in questo lavoro?
Mi stimola moltissimo la possibilità di creare collaborazione e di capire come interagire al meglio con l’entità cliente, composta da persone con esigenze e prospettive diverse. Oggi considero la competenza comunicativa un elemento fondamentale: cerco di affinare questa capacità ogni giorno, perché è ciò che fa davvero la differenza nella progettazione.
Inoltre, la tecnologia evolve a una velocità impressionante. Ogni giorno emerge qualcosa di nuovo, e questo mi spinge a rimettermi costantemente in discussione, a cercare sempre la validazione delle mie proposte e a non dare mai nulla per scontato.
Hai un “trucco” che hai imparato nel corso degli anni per gestire al meglio le conversazioni, soprattutto quelle complesse o cariche di tensione?
Il mio consiglio è semplice: dovremmo augurarci di sbagliare, perché l’errore è sempre un’opportunità di crescita. Se non commettiamo errori, significa che non stiamo imparando. L’importante è saper riconoscere l’errore e correggerlo subito.
Ascolto attivo e apertura al cambiamento sono, a mio avviso, una vera e propria forma mentis. Cerco sempre il dialogo e la validazione, e quando percepisco che qualcosa non sta funzionando, mi fermo. Dare le giuste pause nella conversazione è fondamentale per creare comprensione e collaborazione.
Quali sono le cose che ti danno maggiore soddisfazione nel tuo lavoro?
Non riesco a sceglierne una sola, quindi te ne propongo due. La prima è riuscire a proporre una progettazione complessae, dopo le varie validazioni e i dubbi sollevati, vedere che quella soluzione continua a funzionare nel tempo. Questo significa aver fatto un buon lavoro non solo sulla progettazione in sé, ma soprattutto sull’analisi che l’ha guidata.
La seconda è la crescita delle altre persone. Mi sento davvero realizzato quando, alla fine della giornata, noto che un collega ha imparato anche solo un dettaglio in più rispetto al giorno precedente. Aiutare qualcuno a crescere significa, in realtà, crescere anche personalmente.
Sei molto attivo anche al di fuori dell’azienda, in particolare come speaker in diverse community ed eventi. Come ti sei avvicinato a questo mondo?
Tutto è nato dall’esigenza di creare un vero ecosistema. Dopo essermi trasferito in Abruzzo nel 2012, la community locale era praticamente inattiva. Mi è stato suggerito di unirmi a un gruppo di sviluppatori della zona, ma il più vicino era a 200 chilometri, così ho deciso di fondarne uno a Pescara.
La community è diventata un motore di crescita per l’intero ambiente abruzzese, perché aziende e community si influenzano e si sostengono a vicenda.
A livello personale, è stata una sfida enorme. Il primo talk che ho tenuto fuori Pescara si intitolava “Perché proprio Public Speaking?” e la mia risposta era: “Perché ne sono terrorizzato”. La cosa che più mi fa crescere è proprio affrontare ciò che mi spaventa. Parlare in pubblico mi ha costretto a imparare tecniche di comunicazione efficaci e ha cambiato profondamente il modo in cui penso e interagisco con gli altri.
Tra il lavoro da Enterprise Architect, la formazione continua, la community e il public speaking, rimane tempo per altro?
Cerco di distribuire l’impegno nella community in modo da garantirne la sostenibilità nel tempo. L’attività di public speaking è una sfida costante: spesso propongo temi che non ho ancora pronti, e una volta accettati, scatta la “data di scadenza”, il che mi porta talvolta a preparare tutto la notte prima. Il tempo che non manca mai è quello per la famiglia e per il cane, che richiede molta attenzione per evitare guai in casa. La sera gli dedico una mezz’ora o quaranta minuti. Poi il giardino e l’orticello dietro casa diventano un grande sfogo, soprattutto nel weekend.

